“Come chiesa italiana stavamo già a buon punto con le linee guida che saranno approvate nell’ assemblea della CEI della prossima settimana: alcuni dei punti che il Moto Proprio li avevamo già individuati. Ora dovremmo fare un lavoro di adeguamento che sarà abbastanza limitato”. Lo ha detto il presidente del servizio nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa, mons. Lorenzo Ghizzoni in un’intervista a InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei sul documento di Papa Francesco “Vos estis lux mundi”.
“Nel Motu Proprio, per esempio, si dice che nelle Diocesi ci deve essere un sistema stabile e facilmente accessibile per presentare le segnalazioni riguardanti gli abusi commessi da chierici e religiosi – continua mons. Ghizzoni- in Italia abbiamo già istituito un servizio nazionale e dei servizi regionali che prevedono, e in qualche caso sono già nati, in ogni diocesi la costituzione un’ equipe con un referente diocesano, che oltre alla prevenzione, all’informazione e alla formazione degli operatori pastorali, potrà anche in accordo col vescovo accogliere le segnalazioni e le denunce e potrà anche incontrare le vittime o i genitori, in caso di minori, e potrà far partire il percorso di accompagnamento”.
E sulle denunce spiega: “Per la Chiesa già esisteva l’invito a denunciare subito gli abusi, con il Motu Proprio del Papa ora c’è un obbligo. Prima era affidata alla coscienza dei chierici e dei religiosi e in parte anche dei laici di denunciare quando venivano a conoscenza di queste cose, adesso sono obbligati. In Italia andavamo già in questa direzione, con il Motu Proprio il Papa ci chiede di rafforzare questo obbligo di denuncia all’autorità ecclesiali, quindi ai superiori, ai vescovi, ai superiori religiosi, in modo che si faccia partire il normale procedimento Canonico per affrontare il caso. Naturalmente bisognerà valutare fin dall’inizio la verosimiglianza, e se questa c’è bisogna far partire l’indagine previa, come le norme prevedono.
È una norma contro il silenzio, contro l’occultamento, la copertura e forse anche contro la paura, la timidezza o la vergogna che qualcuno può avere di fronte a questi episodi. Bisogna farli emergere. Il messaggio è chiaro”
“Nel Motu Proprio il Papa si rivolge a tutta la Chiesa universale – continua – e bisogna tener conto che ogni Nazione ha la propria legislazione: in alcune Nazioni l’obbligo è assoluto, in altre parti del mondo no. Il Motu Proprio dice che bisogna stare a quello che la legislazione Nazionale prevede. In Italia abbiamo intenzione di proporre che si invitino i minori, o meglio i genitori, o le vittime se sono maggiorenni a denunciare. E si sostengono e si incoraggiano perché vengano fatte delle denunce anche a livello civile, chiunque sia l’abusatore, o meglio il presunto abusatore, perché poi si dovrà dimostrarne la colpevolezza. Questo per garantire anche la presunzione di innocenza finché non c’è una sentenza, e anche per garantire all’accusato il diritto di difesa, altrimenti si possono imbastire dei giochi pericolosi. Il diritto di difesa bisogna comunque lasciarlo a tutti gli abusatori in ogni momento del processo o anche all’inizio del procedimento”.
Sulle indagini di abusi di cui sono accusati vescovi o alte cariche della Chiesa mons. Ghizzoni spiega: “le indagini devono concludersi i 90 giorni se riguardano i vescovi, i prelati o i superiori maggiori e l’indagine del metropolita dovrà essere compiuta in tempi certi e molto rapidi rispetto a quelli che sono i procedimenti normali. Quindi c’è una accelerazione molto forte, e mi sembra che vista l’importanza delle persone coinvolte che hanno responsabilità nella Chiesa è giusto che ci sia l’attenzione particolare a procedere rapidamente”.
“Nel caso di un abuso di potere c’è anche un allargamento rispetto alle norme finora date – conclude- e mi sembra che sia del tutto opportuno. Effettivamente le norme si rivolgevano soprattutto a ministri ordinati, questo escludeva i seminaristi e le suore che non sono ministri ordinati. Con il Motu Proprio si allarga il campo e si viene incontro ad una carenza, perché prima si trattano le persone in modo diverso. Ora c’è una maggiore equità, si allarga il campo e le cose dal punto di vista processuale. In questo modo mi sembra si risponda meglio al bisogno di tutelare le vittime”.