“L’Isis è stato ed è una parte importante del problema del Medio Oriente non solo oggi. L’Isis come sedicente Stato non ci sarà più ma l’ideologia che sta dietro all’Isis resta ancora e ha presa un po’ dappertutto”. A dirlo ai microfoni di inBlu Radio nell’intervista di Andrea Domaschio è mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, ospite del Quarto meeting nazionale dei giornalisti cattolici e non, a Grottammare. “La questione israelo-palestinese per Isis non è certamente prioritaria ma rientra dentro una logica di o noi o nessuno che poi è la logica che da anni attanaglia il Medio Oriente, cioè del rifiuto dell’altro – aggiunge Pizzaballa -. Noi insistiamo sempre nel dire, nonostante possa sembrare molto retorico oggi, che con l’altro bisogna parlare come dice anche Papa Francesco. Prima o poi speriamo ci si renda conto di questo”.
Certo è che il fondamentalismo, le guerre in Iraq e Siria, così come gli altri conflitti in Medio Oriente hanno creato situazioni drammatiche come l’esodo di milioni di persone, gran parte di questi di fede cristiana. La domanda di fondo davanti alla situazione di queste persone è che cosa può fare un cristiano in un Paese occidentale, in che modo la comunità cristiana occidentale può impegnarsi per aiutare queste persone e risollevare questa complessa situazione?
“Credo innanzitutto che sono milioni i profughi, ma molto di più sono gli sfollati – sottolinea Pizzaballa -. Se pensiamo alla Siria più di due terzi della popolazione non vive dove si trovava prima della guerra. Naturalmente le situazioni sono miserrime dal punto di vista della vita ordinaria, dal punto di vista economico e da ogni altro punto di vista. I bambini non hanno scuola, non c’è lavoro e non ci sono prospettive. C’è una situazione di instabilità spaventosa che non si è mai vista di proporzioni così drammatiche in questi ultimi sessant’anni nel bacino del Mediterraneo. Questo porrà per le prossime generazioni domande drammatiche – riflette il vescovo -. Non credo che questo esodo si fermerà con la fine della guerra perché questa guerra non ha soltanto distrutto le infrastrutture. Se oggi si va ad Aleppo si scopre che due terzi della città non c’è più su una popolazione di 2 milioni di abitanti. Tuttavia, le infrastrutture si ricostruiscono. La guerra ha distrutto la fiducia nella possibilità di costruire un futuro in quei Paesi e questo richiederà intere generazioni dal punto di vista di tempo, di ricostruzione e sotto tutti i punti di vista che coinvolgerà tutta la comunità internazionale. Quest’ultima sarà coinvolta non soltanto nella ricostruzione, ma anche, lo voglia o no, nell’accoglienza di queste situazioni che come stiamo vedendo ha una conseguenze nella vita dell’Europa e dell’occidente”.