Umberto Eco era un grande appassionato di musica: non solo sapeva suonare il flauto dolce con perizia, frequentando anzitutto il repertorio barocco, ma soprattutto era un ascoltatore onnivoro, a suo agio tanto nel campo classico quanto in quello popolare, conosceva il jazz e l’avanguardia al cui sviluppo contribuì preparando testi per l’amico Luciano Berio. Il loro Omaggio a Joyce (1958) è un documentario radiofonico per voce e nastro magnetico che ha scritto una pagina importante nella storia della musica sperimentale. E se i romanzi di Eco sono pieni di citazioni musicali (La misteriosa fiamma della regina Loana è anche un viaggio negli anni della radio, ricco di riferimenti a interpreti e canzoni fra le due guerre), come studioso le sue riflessioni sulla canzone ‘leggera’ e la canzone ‘diversa’ risalgono ai primi anni ’60, quando elogiava un giovane e sconosciuto Enzo Jannacci, scriveva note di copertina per la Milva ‘impegnata’, dedicava pagine illuminanti (in Apocalittici e integrati) a Rita Pavone, le macchine per registrare e riprodurre musica, la radio e la televisione come strumenti d’informazione musicale. Gianni Coscia, suo compagno di liceo e fra i più importanti fisarmonicisti jazz in Italia, ci offre una testimonianza inedita dell’amico musicista e musicofilo, dalle feste a Monte Cerignone in cui Eco – padrone di casa – lo spronava a suonare Caravan nello stile più lontano possibile da Duke Ellington per ‘vedere l’effetto che fa’, alle gustose presentazioni dei suoi numerosi album per la ECM.