Sono stati arrestati i due presunti killer che il 16 gennaio del 2014 in Calabria uccisero, insieme al nonno Giuseppe Iannicelli e alla compagna di questi, il pirolo Cocò di appena tre anni. I corpi senza vita delle tre vittime vennero poi ritrovati all’interno di un’auto data alle fiamme. Un atto efferato maturato nell’ambito della criminalità mafiosa, di cui anche il Papa aveva parlato all’Angelus del 26 gennaio di quell’anno. All’epoca dei fatti era vescovo di Cassano all’Ionio monsignor Nunzio Galantino, ora segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana.
Intervista di Alessandra Giacomucci
Roma, 12 ottobre 2015 – “Un fatto come questo frena la sfiducia montante verso le istituzioni, facendo capire che attraverso fatti e gesti concreti lo Stato c’è e dice che non sempre, come alcuni pensano, la malvagità ha la meglio sugli altri”. Così il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, in un’intervista congiunta al Tg2000, il telegiornale di Tv2000 e a inBlu Radio, ha commentato l’arresto dei due presunti killer di Cocò Campolongo, il bambino di tre anni ucciso e bruciato in auto a Cassano allo Jonio, insieme al nonno e alla compagna il 16 gennaio 2014.
“Non è un mistero – ha aggiunto mons. Galantino che all’epoca dei fatti era vescovo di Cassano alla Jonio – che ne abbia parlato con il Santo Padre che, il 26 gennaio meno di 15 giorni dopo il ritrovamento dei cadaveri, all’Angelus invitò a pregare e a pentirsi. Il Papa ha visitato la comunità di Cassano con le sue ferite e tra queste ferite gravi c’era anche questa vicenda”.
Mons. Galantino ha sottolineato che “certi fatti ci invitano a pensare a quale cattiveria può arrivare ogni uomo quando si lascia prendere in maniera totalizzante dall’interesse personale, dalla voglia di strafare e non tenere presenti l’ esigenze dell’altro”.
“Da questa vicenda – ha proseguito Galantino – si può imparare che quando un uomo ha davanti solo l’interesse personale rischia di imbrutirsi. Quello che è avvenuto a Cocò, al nonno e alla donna che stava con loro è veramente di un efferatezza unica. Non voglio dire che è stato un atto bestiale perché offenderei le bestie”.
Il segretario generale della Cei ha ricordato infine che questa vicenda “ha segnato la città, il territorio e la Chiesa perché non dimentichiamo che come Chiesa siamo stati in prima linea per non far dimenticare, tener viva l’attenzione e cercare di stimolare tutti ad una maggiore vigilanza nei confronti di comportamenti legali”.